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La Molisana: si poteva evitare?

Immagine del redattore: Ida ParadisoIda Paradiso

Aggiornamento: 5 gen 2022



I'm sorry.

Di solito sono molto misurata nelle mie valutazioni, soprattutto quando si discute, in punta di marketing, su argomenti che mi sono molto vicini. E anche questa volta volevo prendermi del tempo per valutare l'entità dello scivolone de 'La Molisana', ma dopo ventiquattr'ore di commenti, post infiammati, commentatori della domenica e confusione sempre più crescente, devo proprio dare i miei "two cents".


Eccoli qua.


Non è questo il modo di fare food marketing per il Made in Italy cosi, proprio no.

La mia prima impressione è stata (e non si è modificata nemmeno dopo le dichiarazioni successive dell'azienda) di uno scivolone involontario, dettato dalle classiche buone intenzioni che lastricano le strade dell'inferno.

Credo che l'operazione di "recupero culturale" che La Molisana ha così nobilmente provato a fare, sia stata realizzata in un modo confuso e inefficace.


E' il solito "pasticciaccio brutto" all'italiana, fatto di approssimazione, pressapochismo e ricerca della soluzione "facile".


Per chi se lo fosse perso, ecco il riepilogo della questione

Il packaging incriminato - Fonte: leggo.it

E qui, per provare a dipanare la matassa, devo per forza scendere nel tecnico:


1. Uso dello Storytelling


Ormai da molti anni si dice che per valorizzare adeguatamente i prodotti food & wine del Made In Italy è necessario recuperarne il valore culturale, storico. Quel patrimonio di tradizioni che fa dell'Italia, appunto, quello che è: il Belpaese. Per questo, in tutti i manuali di marketing "fighi" si sprecano indicazioni di come sia fondamentale un continuo storytelling per accompagnare, sostenere e promuovere i prodotti food&wine. Il risultato è che ogni azienda agricola, ogni pastificio artigianale, ogni produttore di formaggi, si sente in obbligo di costruire (o ricostruire) un immaginario di storia e tradizioni che nobiliti la propria proposta commerciale.


Nulla di sbagliato, in teoria, ma storytelling e costruzione di un identità storica sono SOLO STRUMENTI da usare nell'ambito di una strategia complessiva di marketing lucida, chiara e ben strutturata. Non va usato per riempire delle caselle, prendendo a caso da un sacchetto pezzi di storia e di cultura, come se si giocasse a Scarabeo.



2. La confusione: Valore/Valori


Ci si è dimenticati di un concetto fondamentale del marketing: non stiamo mai promuovendo un prodotto soltanto, ma il VALORE che questo può avere per i consumatori e, contemporaneamente i VALORI che veicola a questi ultimi. Comunichiamo anche, in modo più o meno evidente, i VALORI dell'azienda produttrice, le idee che la caratterizzano e che essa porta sul mercato e nel mondo. Da questo si determina il posizionamento strategico, da cui discendono poi le scelte operative delle singole campagne.

Il cortocircuito comunicativo, in questa disgraziata faccenda, è proprio questo: non aver considerato che un'operazione di "recupero storico" potesse essere interpretata dall'audience come un velato richiamo al ventennio fascista, come uno schierarsi da parte de La Molisana, un modo sottile ma evidente di manifestare delle opinioni politiche aziendali.

Non è ovviamente, così. La Molisana è innocente, ma era compito dei professionisti a cui l'azienda si è rivolta, valutare e gestire in modo l'approccio ad un argomento così delicato, eventualmente consigliando il cliente ed indirizzandolo ad altre vie.


3. Il Richiamo Culturale


Se il patrimonio culturale, la storia, l'arte, la socialità che caratterizza l'Italia e gli italiani sono quello che ci fa riconoscere all'estero, non significa che a questo patrimonio immateriale si debba (o si possa) attingere acriticamente, indipendentemente dal contesto di applicazione. Per questo è fondamentale in ogni ambito del marketing (ma ancor di più per le eccellenze enogastronomiche) valutare con attenzione l'opportunità dell'utilizzo di tematiche che potrebbero non avere valenze positive nell'immaginario del consumatore, o il cui uso potrebbe addirittura nuocere all'immagine della marca.


Per comunicare bene la Storia, la Cultura e le Tradizioni di un Paese bisogna CONOSCERLE A FONDO. Solo così si possono evitare scivoloni e valutare bene a quali VALORI dare risalto nelle proprie campagne. Non è sufficiente fare un giro su Google.

Nel caso in oggetto, ad esempio, chi ha progettato la campagna non ha valutato che sarebbe andato a toccare un nervo scoperto, un periodo della storia di noi italiani che ancora ci tocca nel profondo. Il richiamo, seppure indiretto, ad una pagina oscura della storia italiana, fatta molto più di ombre che di luci, non poteva passare inosservato né poteva essere pensabile accostarla, in tono "scherzoso", addirittura ad una frase di Trilussa.


L'impressione è che ci sia stata molta superficialità ed il tentativo di fare una comunicazione "furba", mettendo insieme tutti i concetti che in questo momento sono più di moda.

4. Copywriting & Naming


La polemica sul nome di Abissine,Tripoline, Bengasine, etc. è sterile ed inutile, poiché la questione è chiara. In questo caso, infatti, non ci si è limitati a riportare in retroetichetta le origini del nome con cui la pasta ancora viene identificata (ad esempio, Mafaldine che indicano le tagliatelle larghe o lagane dal bordo arricciato), ma si procede al recupero del nome fascista per trafile che, nel corso del tempo, hanno ripreso, invece, denominazioni più comuni (vedasi il caso delle conchiglie rigate). Certo il copywriting non ha aiutato, perché le frasi descrittive, originariamente concepite proprio per prendere le distanze dall'oscuro periodo del colonialismo, si sono prestate invece ad altre interpretazioni, peggiorando la situazione. Il ToV (Tone of Voice) usato, appare un tentativo di "buttarla sulla battuta" per evitare l'innestarsi di polemiche (che già, evidentemente, si immaginavano).

L'alternativa poteva essere riprendere il nome tradizionale delle trafile, ma senza accompagnare con alcun commento o spiegazione. Ogni azienda può denominare i propri prodotti come crede (come d'altronde hanno fatto gli altri produttori che utilizzano i nomi storici).

Perché, allora, infilarsi in questo ginepraio?


5. Obiettivi strategici


L'operazione di marketing, dal punto di vista tecnico, non è comprensibile. Non se ne capisce l'obiettivo, né dal punto di vista della coerenza con il posizionamento strategico de La Molisana, né nell'ottica di una campagna di comunicazione pensata solo per la gamma delle paste secche. Non lo si può inquadrare come un progetto di restyling complessivo del packaging (come ad esempio quello recentemente fatto da Barilla), né come un operazione di accreditamento della storicità e dell'artigianalità del pastificio stesso, che poteva essere sviluppato in altro modo. Insomma, poca chiarezza sia nella progettazione che nella realizzazione.


6. Mancanza delle Policy di gestione


Infine, l'intera operazione è stata fatta senza valutare la possibilità che si trasformasse in un boomerang comunicativo, né che i consumatori infiammassero i social network fino a creare in poco più di ventiquattr'ore una "shitstorm" che, peraltro, l'azienda non è stata in grado di governare. Con un argomento come questo, un piano B andava programmato. Anche negli scenari più rosei, non ci si poteva aspettare un plebiscito di consensi, a cui si risponde soltanto grazie. La definizione di policy di gestione di criticità, conflitti e feedback negativi è ormai una prassi necessaria, se ci si vuole confrontare in modo corretto con la propria audience. Perché nessuno ci ha pensato?


In Sintesi...


Come in altri casi (il più recente quello di Confcommercio Lucca, recentemente conclusosi con le scuse ed il ritiro della campagna), spetta a noi professionisti valutare con attenzione l'opportunità o meno di utilizzare tematiche più o meno controverse. Siamo noi a dover consigliare, indirizzare e dare al nostro cliente le soluzioni migliori, che non necessariamente coincidono con "quello che chiede". Ogni caso come questo fa fare un passo indietro al nostro settore, contribuisce a diminuire la credibilità complessiva dei professionisti della comunicazione e lascia più spazio ai "cuggini", perché l'imprenditore più facilmente penserà che tanto, anche chiamando dei professionisti, non avrà garanzia del risultato. Quindi, tanto varrà fare da soli, aiutati dal nipote del cugino della cognata: se si sbaglia, avrà sbagliato da solo.



Se volete approfondire l'argomento, o leggere altri punti di vista, ecco cosa ne pensano alcune testate di settore:

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